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rifiutare e senza affrettarsi, prese il biglietto e la ringraziň.   
   «Se il conte fosse stato in casa,» disse ancora Mavra Kuzminična come per scusarsi. «Cristo sia con voi, batjuška! Dio vi protegga,» disse inchinandosi e accompagnandolo.   
   Sorridendo e scuotendo la testa, come ridendo di se stesso, l'ufficiale corse via quasi al trotto per le strade deserte, a raggiungere il suo reggimento al Ponte Jauzskij.   
   Mavra Kuzminična rimase ancora a lungo, con gli occhi umidi, davanti al cancello chiuso, e tentennava pensosamente la testa sentendosi invasa da un inaspettato slancio di tenerezza e di compassione materna verso quell'ufficialetto che non conosceva.   
   

   Capitolo XXIII   

   
   In via Varvarka, in una casa ancora in costruzione a pianterreno della quale c'era un'osteria, si sentivano grida e canti di ubriachi. Sulle panche davanti ai tavoli, in una piccola stanza sudicia, erano seduti una decina di operai. Ubriachi, sudati, con gli occhi torbidi, stiracchiandosi e spalancando le bocche negli sbadigli, cantavano tutti una loro canzone. Cantavano ognuno per proprio conto, con fatica, con sforzo, non perché - evidentemente - avessero voglia di cantare, ma semplicemente per dimostrare che erano ubriachi e che se la spassavano. Uno di loro, un alto ragazzo biondo con un lindo caffetano blu, era in piedi, chino sugli altri. Il suo viso, con un sottile naso diritto, sarebbe stato anche bello se non avesse avuto sottili labbra serrate che continuamente s'agitavano, e occhi accigliati, torvi e immobili. Restava in piedi accanto a quelli che cantavano e, rimuginando qualcosa tra sé, agitava in modo solenne e

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