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rigido sopra le loro teste un braccio bianco con la manica rimboccata fino al gomito, mentre cercava di allargare le sudice dita della mano in modo innaturale. La manica del caffetano scivolava continuamente giù e il giovane tornava a rimboccarla con cura con la mano sinistra, come se ci fosse stato qualcosa di particolarmente importante nel fatto che quel suo bianco, muscoloso braccio stesse proprio così scoperto. Nel bel mezzo della canzone si sentirono dall'andito le grida di una rissa e dei colpi. Il giovane alto fece un gesto secco.   
   «Basta!» gridò con autorità. «C'è zuffa, ragazzi!» E, senza mai smettere di rimboccarsi la manica, uscì sulla scaletta d'ingresso.   
   Gli operai lo seguirono. Questi operai, che fin dal mattino bevevano nell'osteria sotto la guida del giovane alto, avevano portato all'oste dei pezzi di cuoio presi in fabbrica, in cambio dei quali avevano avuto da bere. Alcuni fabbri della fucina accanto, sentendo tanto chiasso nell'osteria, avevano creduto che l'osteria venisse saccheggiata e volevano entrare dentro con la forza. Ne era nata, all'ingresso, una rissa.   
   L'oste, sulla porta, si batteva con un fabbro e, proprio quando gli operai uscirono, il fabbro si staccò dall'oste e cadde bocconi sul selciato.   
   Un altro fabbro si avventò contro la porta, gettandosi di petto contro l'oste.   
   Ancora prima di arrivare, il giovane con la manica rimboccata colpì sulla faccia il fabbro che voleva entrare e si mise a gridare selvaggiamente:   
   «Ragazzi! Picchiano i nostri!»   
   In quel momento il primo fabbro si rialzò da terra e, tastandosi il

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