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aveva detto qualcosa al cocchiere e la vettura aveva accelerato l'andatura.   
   «È un inganno, ragazzi! Che ci porti dal conte in persona!» gridò il giovane alto.   
   «Non lasciatelo scappare, ragazzi! Deve renderci conto! Fermatelo!» s'alzarono alcune voci dalla folla; il popolo si lanciò all'inseguimento della vettura.   
   La folla, discorrendo rumorosamente, seguì il capo della polizia fino alla Lubjanka.   
   «E così anche i signori mercanti se ne sono andati e noi dobbiamo restare qui a crepare? Siamo forse cani, noialtri!» s'udiva ripetere sempre più spesso tra la folla.   
   

   Capitolo XXIV   

   
   La sera del 1° settembre, dopo il colloquio con Kutuzov, il conte Rastopèin, amareggiato e offeso che non l'avessero invitato al consiglio di guerra, e che Kutuzov non avesse tenuto in alcun conto la proposta di prender parte alla difesa della città, e sbalordito dal nuovo punto di vista della situazione, che aveva potuto scoprire al campo, secondo il quale la questione della tranquillità di Mosca e dei suoi sentimenti patriottici non appariva soltanto secondaria, ma addirittura superflua e insignificante, amareggiato, offeso e stupito da tutto questo, il conte Rastopèin fece ritorno a Mosca. Dopo aver cenato, si distese su un divano senza svestirsi e, poco dopo la mezzanotte, fu svegliato da un corriere che gli portava una lettera da parte di Kutuzov. Nella lettera si diceva che, poiché l'esercito si ritirava di là da Mosca sulla strada di Rjazan,

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