sarebbe stato opportuno che il conte inviasse dei funzionari di polizia per scortare le truppe attraverso la città. Non era una novità per Rastopèin. Non soltanto dopo il colloquio del giorno prima con Kutuzov sul Monte Poklonnaja, ma già dopo la battaglia di Borodino, quando tutti i generali che arrivavano a Mosca dicevano unanimi che non si poteva più combattere, e dopo che, notte per notte, con la sua stessa autorizzazione, era cominciato il trasporto dei tesori di stato e l'evacuazione di una buona metà dei civili, il conte Rastopèin sapeva benissimo che Mosca sarebbe stata abbandonata; e nondimeno questa notizia, comunicatagli così, sotto forma di un semplice biglietto da parte di Kutuzov e ricevuto di notte, durante il primo sonno, stupì e addolorò il conte.
In seguito, giustificando l'attività da lui svolta in quei giorni, il conte Rastopèin, scrisse ripetutamente nelle sue memorie, che due erano stati i suoi principali obiettivi: «De maintenir la tranquillité à Moscou et d'en faire partir les habitants. Se si accettasse questo duplice obiettivo, ogni atto di Rastopèin sembrerebbe irreprensibile. Perché non furono sgombrate da Mosca le cose sacre, le armi, le munizioni, la polvere, le scorte di grano; perché migliaia di abitanti furono ingannati con l'assicurazione che Mosca non sarebbe stata abbandonata, e perché vennero in tal modo rovinati? Per mantenere la calma nella capitale, risponde il conte Rastopèin. Perché furono sgomberate pile di carte inutili dagli uffici, e l'aerostato di Leppich e altri oggetti? Perché bisognava lasciare la città vuota, risponde il conte Rastopèin. Basta ammettere che qualcosa realmente minacciasse la quiete pubblica perché ognuno di quegli atti appaia pienamente giustificato.
Tutte le crudeltà del Terrore furono commesse in nome della pubblica quiete.