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   «Be', di' tu a quel tanghero,» rispose alla domanda del direttore del demanio, «che se ne resti a far la guardia alle sue carte. Che stupidaggini mi chiedi a proposito dei pompieri? I cavalli li hanno, che se ne vadano a Vladimir. Mica li lasceranno ai francesi.»   
   «Eccellenza, č venuto il direttore del manicomio, che ordini date?»   
   «Che ordini? Che se ne vadano tutti, ecco... E i matti, che li lascino liberi per la cittŕ. Visto che i matti comandano il nostro esercito, č giusto che anche loro se ne vadano un po' a spasso!»   
   Quando gli chiesero cosa bisognasse fare dei carcerati, il conte urlň rabbioso contro il direttore:   
   «Dovremmo darti due battaglioni di scorta che non abbiamo! Liberali tutti e buona notte!»   
   «Eccellenza, ci sono i detenuti politici: Meškov, Vereščagin...»   
   «Vereščagin! Non l'hanno ancora impiccato?» esclamň Rastopčin. «Portatelo da me.»   
   

   Capitolo XXV   

   
   Alle nove della mattina, mentre le truppe stavano ancora transitando per Mosca, nessuno veniva piů a chiedere ordini al conte. Chi poteva, partiva, chi restava decideva da solo quel che bisognava fare.   
   Il conte ordinň di attaccare i cavalli per andare a Sokolniki, e intanto, accigliato, giallo in volto e taciturno, se ne stava nel suo studio a braccia conserte.   
   Il capo di qualsiasi amministrazione, nei momenti di calma e di serenitŕ, ha l'impressione che tutti i cittadini che gli sono stati affidati vivano unicamente grazie alle sue cure, e in questa coscienza

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