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   Alle quattro del pomeriggio le truppe di Murat entrarono in Mosca. In testa procedeva un reparto di ussari del Württemberg; dietro, a cavallo, scortato da un grande seguito, il Re di Napoli in persona.   
   A metà circa dell'Arbat, vicino alla chiesa di Nikola Javlennyj, Murat si fermò attendendo che il reparto avanzato desse informazioni esatte sull'ubicazione della roccaforte cittadina, «le Kremlin».Intorno a Murat si era raccolta una piccola folla di borghesi, di quelli che erano rimasti a Mosca. Tutti guardavano con timida meraviglia lo strano comandante dai capelli lunghi, carico di piume e di oro.   
   «Ma che, sarebbe questo in persona il loro zar? Niente di più facile!» si sentivano voci sommesse.   
   Un interprete si avvicinò alla folla.   
   «Togli il berretto... il berretto,» si misero a dire nella folla apostrofandosi a vicenda. L'interprete si rivolse a un vecchio portiere e domandò se il Cremlino fosse lontano. Il portiere, tendendo l'orecchio a quell'accento polacco che gli riusciva strano e non riconoscendo la lingua russa nei suoni pronunciati dall'interprete, non capiva che cosa gli dicessero e si nascose dietro gli altri.   
   Murat si avvicinò all'interprete e ordinò di domandare dove fossero le truppe russe. Uno dei russi comprese finalmente che cosa gli chiedevano e parecchie voci insieme, a un tratto, si levarono a rispondere all'interprete. Un ufficiale francese del reparto d'avanguardia giunse a cavallo da Murat, e riferì che l'ingesso della fortezza era murato e che, probabilmente, c'era d'aspettarsi qualche imboscata.   
   «Bene,» disse Murat e, rivolgendosi a uno dei signori del seguito, ordinò che si facessero avanzare quattro cannoni di piccolo calibro e di

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