far fuoco contro il portone.
L'artiglieria, al trotto, uscì dalla colonna che marciava dietro Murat e si portò verso l'Arbat. Spintasi fino in fondo alla Vozdviženka, si fermò e si schierò sulla piazza. Alcuni ufficiali francesi provvidero a sistemare i cannoni, piazzandoli a distanza uno dall'altro, e si misero a osservare il Cremlino con il cannocchiale.
Dal Cremlino le campane suonarono il vespro e questo suono mise in agitazione i francesi. Credevano che fosse un appello alle armi. Alcuni soldati di fanteria corsero alla porta Kutafja. La porta era sbarrata da travi e mucchi di assi. Non appena un ufficiale si avvicinò con la sua pattuglia, da dietro la porta echeggiarono due spari. Il generale che sostava presso i cannoni gridò all'ufficiale un comando e l'ufficiale e i soldati tornarono indietro di corsa.
Dietro il portone riecheggiarono altri spari.
Una fucilata ferì a un piede un soldato francese e subito, di dietro ai mucchi di assi, giunse uno strano urlo di parecchie voci. Sulle facce del generale francese, degli ufficiali e dei soldati l'espressione di allegria e di tranquillità aveva già ceduto il posto a una tenace, concentrata espressione di prontezza alla lotta e alle sofferenze. Per tutti loro, dal maresciallo all'ultimo soldato, quel luogo non si chiamava Vozdviženka, Mochovaja, Kutafja o Troickie Voroty, ma era soltanto un nuovo campo di battaglia, d'una battaglia che prevedevano sanguinosa.
Le grida dietro la porta erano cessate. I cannoni erano stati già piazzati. Gli artiglieri soffiavano sulle micce accese. Un ufficiale comandò «feu!» e uno dopo l'altro scoppiarono due sibilanti crosci di mitraglia. Le mitraglie crepitarono sulla pietra della porta, sulle travi e sulle assi e due nuvole di fumo ondeggiarono sopra la piazza.