più potuto sposare la principessina Mar'ja. Nonostante l'orrore di tutto ciò che era accaduto in quelle ultime giornate a Mosca, e nei primi giorni di viaggio, questa sensazione, questa consapevolezza che la Provvidenza intervenisse nelle sue vicende personali, aveva riempito di gioia l'animo di Sonja.
Al convento di Troica i Rostov fecero il primo giorno di sosta, da quando erano in viaggio.
Nella foresteria del convento erano state assegnate ai Rostov tre grandi stanze, una delle quali fu occupata dal principe Andrej. Quel giorno il ferito stava molto meglio. Nataša era con lui. Nella stanza vicina il conte e la contessa conversavano rispettosamente col priore, che era venuto a far visita a quei suoi vecchi conoscenti e benefattori. Sonja era lì anche lei, tormentata dalla curiosità di sapere quello che si stavano dicendo il principe Andrej e Nataša. Attraverso la porta le giungeva all'orecchio il suono delle loro voci. Improvvisamente la porta della stanza del principe Andrej si aprì. Ne uscì Nataša, col viso sconvolto, e, senza nemmeno accorgersi del monaco che si era alzato per venirle incontro e sollevava la larga manica sulla mano destra, si avvicinò a Sonja e la prese per mano.
«Nataša, che cos'hai? Vieni qui,» disse la contessa.
Sonja non era meno sconvolta della sua amica: sconvolta dalle ansie e dal dolore di lei, e insieme dai suoi intimi, segreti pensieri. Singhiozzava, baciava e consolava Nataša. «Purché viva!» pensava. Dopo aver pianto, dopo avere parlato e asciugate le lacrime, le due amiche si avvicinarono alla porta della stanza del principe Andrej. Aperto con cautela l'uscio, Nataša diede un'occhiata nella stanza. Sonja le stava accanto, immobile sulla soglia.