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Dio, fammi dormire; come un bel pane fresco fammi alzare,» disse, e si sdraiò tirandosi addosso il pastrano.   
   «Che preghiera è, questa che hai detto?» domandò Pierre.   
   «Eh?» disse Platon, che nel frattempo si era quasi addormentato. «Vuoi sapere che ho detto? Una preghiera, ho detto. Perché, tu non preghi, forse?»   
   «No, no, anch'io prego,» disse Pierre. «Ma che dicevi, tu, di San Floro e San Lauro?»   
   «Ma come?» replicò svelto Platon. «È la festa dei cavalli. Bisogna pure aver compassione, delle bestie,» aggiunse. «Vedi un po' questo furfantello, come s'è acciambellato! S'è scaldato ben bene, figlio d'un cane!»   
   Così dicendo accarezzò il cane ai suoi piedi; poi tornò a girarsi e si addormentò di botto.   
   Fuori, in lontananza, si udivano pianti e grida e attraverso le fessure della baracca si intravvedevano fiamme; ma all'interno tutto era silenzio e buio. Per un pezzo Pierre non riuscì a prender sonno; sdraiato nel suo angolo, con gli occhi spalancati nel buio, ascoltava il russare ritmico di Platon che giaceva accanto a lui; e gli sembrava che il mondo, che poco prima gli era parso in rovina, risorgesse nel suo animo con nuova bellezza, su nuove, incrollabili fondamenta.   
   

   Capitolo XIII   

   
   Nella baracca dove Pierre era stato portato, e dove avrebbe trascorso quattro settimane, c'erano ventitré soldati, tre ufficiali e due funzionari civili, tutti prigionieri.   

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