generale Kikin e che, probabilmente, anche Ermolov era là.
«Ma dove sarebbe, di preciso?»
«A Eèkino,» disse un ufficiale dei cosacchi, indicando lontano una casa di proprietari terrieri.
«Ma come, laggiù, oltre gli avamposti?»
«Ci hanno spedito due reggimenti, a costituire una linea avanzata. C'è una tale baldoria, oggi, laggiù! Da far spavento... Due orchestre, tre cori di cantori...»
L'ufficiale cavalcò, oltre gli avamposti, fino a Eèkino. Già da lontano, mentre si avvicinava alla casa, sentì le note gaie e ben intonate di una canzone soldatesca da ballo.
«Nei pra-a-ti... nei pra-a-ti!...» s'udiva, tra fischi e suoni di piatti sovrastati di tanto in tanto da scoppi di grida e di voci. L'ufficiale fu perfino contento di sentire quei suoni; nello stesso tempo, però, aveva paura, si sentiva in colpa per aver tardato tanto a trasmettere l'importante ordine che gli era stato affidato. S'erano fatte, ormai, quasi le nove. Smontato da cavallo, raggiunse l'ingresso di quella grande casa di possidenti, rimasta intatta a metà strada fra russi e francesi. Nel buffet e nell'anticamera i servitori si affaccendavano con vini e cibi. Sotto le finestre erano allineati i cantori. L'ufficiale fu condotto sino a una porta e lì, a un tratto, vide tutti insieme i più grandi generali dell'esercito russo, fra i quali, imponente come al solito, spiccava la grande figura di Ermolov. Tutti i generali avevano le giacche sbottonate, le facce rosse ed eccitate, e ridevano forte standosene in piedi a semicerchio. Nel mezzo della sala un altro generale, un bell'uomo non troppo alto di statura e con la faccia arrossata, eseguiva con brio e destrezza i passi del trepak.«Ah, ah, ah! Forza,