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ufficiale di fresca nomina, nessuno avrebbe ardito farsi così beffe di me... E adesso, invece!» La sofferenza fisica che provava era simile a quella di una punizione corporale; non poteva fare a meno di esprimerla con grida d'ira e di dolore; ma ben presto gli vennero meno le forze e guardandosi attorno, rendendosi conto d'aver detto molte cose fuori luogo, risalì in carrozza e in silenzio tornò indietro.   
   Sfogata in quel modo, l'ira non riapparve mai più; sbattendo appena le palpebre, Kutuzov stette a sentire le giustificazioni, le parole di difesa, le raccomandazioni di Bennigsen, di Konovnìtsyn e di Toll (quanto a Ermolov non si presentò che il giorno dopo) perché l'operazione, fallita in quel modo, si effettuasse l'indomani. Ancora una volta Kutuzov dovette acconsentire.   
   

   Capitolo VI   

   
   Il giorno dopo le truppe, concentratesi fin dalla sera nei posti assegnati, si misero in marcia al far della notte. Era una notte d'autunno con nuvole d'un nero violaceo, ma senza pioggia. Il terreno era umido, ma ancora non c'era fango, e le truppe marciavano senza rumore; solo di tanto in tanto si udiva, ma debolmente, lo sferragliare dell'artiglieria. Era stato proibito parlare ad alta voce, fumar le pipe, battere l'acciarino; si cercava di trattenere i cavalli dal nitrire. Il tono di mistero dell'impresa ne accresceva l'attrattiva. Gli uomini marciavano quasi con gaiezza. Alcune colonne, a un certo punto, si fermarono, affastellarono i fucili e si sdraiarono sul freddo suolo, credendo d'essere arrivate al punto stabilito; altre (la maggior parte) marciarono per tutta la notte arrivando, ovviamente, più in là di dove avrebbero dovuto.   

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