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   Il conte Orlov-Denisov con i suoi cosacchi (il reparto meno importante di tutti), fu il solo a capitare nel posto giusto al momento giusto. Si fermò al limite della foresta, lungo il sentiero che andava dal villaggio di Stromilova a quello di Dmitrovskoe.   
   Prima dell'alba, mentre sonnecchiava, il conte Orlov fu svegliato. Gli portavano un disertore del campo francese. Era un sottufficiale polacco del corpo d'armata di Poniatowski. Questo sottufficiale spiegò, in polacco, di aver disertato perché in servizio aveva subito un torto; da un pezzo avrebbe dovuto essere ufficiale, essendo più valoroso di tutti; perciò li aveva piantati in asso e voleva vendicarsi di loro. Disse che Murat pernottava a una versta da loro e che, se gli avessero dato cento uomini di scorta, lui l'avrebbe preso vivo. Il conte Orlov-Denisov si consultò con i colleghi. La proposta era troppo allettante per rinunciarvi. Tutti si offrirono di andare, tutti consigliavano di tentare. Dopo molte discussioni e considerazioni, il maggiore generale Grekov, con due reggimenti di cosacchi, fu inviato con il sottufficiale.   
   «Però ricordati,» disse il conte Orlov-Denisov al sottufficiale: «se hai mentito, ti faccio impiccare come un cane; se invece hai detto la verità, avrai cento ducati.»   
   Con aria decisa il sottufficiale, senza rispondere a queste parole, saltò a cavallo e partì con Grekov, preparatosi rapidamente alla spedizione. Scomparvero nella foresta. Il conte Orlov, rabbrividendo alla frescura del mattino che cominciava a schiarire, emozionato dall'idea di ciò che aveva intrapreso sotto la propria responsabilità, dopo essersi separato da Grekov uscì dalla foresta e si mise a scrutare il campo nemico, che si scorgeva ormai in modo incerto al chiarore del mattino incipiente e dei languenti fuochi di bivacco. Sulla destra del conte

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