«Stamattina non son riusciti a catturare Murat e ad arrivare in tempo sui luoghi; ormai non c'è più niente da fare!» replicava a un altro.
Quando vennero a riferirgli che sul fianco dello schieramento francese, dove, secondo il rapporto dei cosacchi, non c'era alcuna copertura, c'erano, invece, adesso, due battaglioni di polacchi, egli lanciò un'occhiata di sbieco verso Ermolov, al quale non rivolgeva più la parola fin dal giorno prima.
«Ecco, vogliono attaccare, fanno una quantità di progetti, ma appena si tratta di passare all'opera, non c'è niente di pronto, e il nemico, messo sull'avviso, ha tutto il tempo di prender le sue misure.»
Ermolov strizzò gli occhi ed ebbe un lieve sorriso al sentire quelle parole. Aveva capito che la tempesta, per lui, era passata, e che Kutuzov si sarebbe limitato a quell'allusione.
«Si diverte alle mie spalle,» disse a bassa voce, e urtò con il ginocchio Raevskij che stava al suo fianco.
Poco dopo, Ermolov si fece accanto a Kutuzov e osservò in tono ossequioso:
«Il momento non è perduto, Eccellenza, il nemico non è ancora fuori portata. Ordinate di attaccare? Altrimenti, la Guardia non vedrà neppure il fumo!»
Kutuzov non rispose; ma quando vennero a riferirgli che le truppe di Murat si stavano ritirando, ordinò d'avanzare; ogni cento passi, però, si fermava per tre quarti d'ora.
Tutta la battaglia, insomma consistette in quel che avevano fatto i cosacchi di Orlov-Denisov; le altre truppe non fecero altro che perdere, inutilmente, diverse centinaia di uomini.
In seguito a questa battaglia Kutuzov ricevette il distintivo di