non aveva nome. I francesi lo chiamavano Azor, il soldato che raccontava le fiabe lo chiamava Femgalka, Karataev e altri lo chiamavano Bigio, certe volte Ciondolo. Il fatto di non appartenere a nessuno e di non avere nome, né razza, e nemmeno un colore definito, non sembrava tuttavia preoccupare molto il cagnolino grigio. Il folto ciuffo della coda stava su rigido e tondo, le zampette storte gli servivano così bene che spesso, quasi sprezzando l'uso di tutt'e quattro, sollevava con grazia una di quelle di dietro e correva, con grande agilità e destrezza, su tre sole zampe. Tutto per lui era oggetto di piacere. Ora, con guaiti di gioia, si sdraiava sulla schiena; ora si riscaldava al sole con un'aria pensierosa e significativa; ora faceva il pazzo, giocando con una scheggia di legno o con una pagliuzza.
Gli indumenti di Pierre consistevano, ora, in una camicia lacera e sudicia, unico residuo del suo abbigliamento di un tempo, in un paio di pantaloni da soldato che Karataev gli aveva consigliato di legare alle caviglie con delle cordicelle per stare più caldo, in un caffetano e in un berretto da contadino. Pierre era molto cambiato fisicamente, in questo frattempo. Non sembrava più grasso, sebbene avesse sempre lo stesso aspetto forte e robusto, tipico della sua famiglia. La barba e i baffi gli avevano ricoperto la parte inferiore del volto; i capelli folti e arruffati, pieni di pidocchi, gli si arricciavano sul capo formando una sorta di casco. L'espressione degli occhi era ferma, tranquilla, vivace, come mai prima. L'antica sua rilassatezza, che gli si rifletteva anche nello sguardo, aveva lasciato il posto a una vigile energia, pronta all'azione e alla resistenza. I suoi piedi erano scalzi.
Pierre guardava ora in fondo, verso i campi, dove quel mattino passavano in continuazione carri e uomini a cavallo, ora lontano, oltre il