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faceva apparire ai soldati come un essere un po' misterioso e superiore. Perfino quelle doti che, nel mondo in cui viveva prima, gli erano state, se non dannose, almeno restrittive, come la forza, lo sprezzo delle comodità, la distrazione, la semplicità dei modi, lì, in mezzo a quegli uomini, facevano di lui poco meno di un eroe. E Pierre si sentiva vincolato dall'opinione che avevano di lui.   
   

   Capitolo XIII   

   
   Nella notte fra il 6 e il 7 ottobre i francesi cominciarono a prepararsi per la partenza: si sfasciavano le cucine, le baracche, si caricavano i carri, le truppe e i convogli si mettevano in moto.   
   Alle sette del mattino, una scorta di francesi in assetto di marcia, chepì, fucili, zaini e certi enormi sacchi, era pronta davanti alle baracche, e lungo l'intero schieramento echeggiava un animato chiacchiericcio francese disseminato di imprecazioni.   
   Nella baracca erano tutti pronti: vestiti, le cinture allacciate e le calzature ai piedi; e tutti non aspettavano che l'ordine di uscire. Sokolòv, il soldato malato, pallido e magro, con gli occhi cerchiati di blu, era il solo a non esser calzato e vestito; se ne stava seduto al suo posto, e con occhi resi prominenti dalla magrezza guardava interrogativamente i compagni che non gli facevano caso, e intanto gemeva in modo monotono e sommesso. Si capiva che più della sofferenza - aveva la dissenteria - erano la paura e il dispiacere di rimanere solo a farlo gemere così.   
   Pierre, che calzava certe scarpe fatte per lui da Karataev con il cuoio portatogli da un francese per una risuolatura, e aveva intorno alla vita

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