«Perché parli a vanvera? Di' quel che serve.»
«Quando per mia moglie sarà giunto il momento di partorire, mandate a Mosca a chiamare un ostetrico... Desidero che si trovi qui.»
Il vecchio principe si fermò e, come se non capisse, posò gli occhi severi sul figlio.
«So che nessuno può esser d'aiuto se la natura non aiuta,» disse il principe Andrej palesemente turbato. «Sono d'accordo che su un milione di casi uno solo è sfortunato; ma è una fantasia sua e mia. Le hanno raccontato un sacco di cose, lei ha fatto un brutto sogno, e ha paura.»
«Hmm... hmm...» borbottò fra sé il vecchio principe continuando a scrivere. «Farò come vuoi.»
Tracciò una firma svolazzante; poi, a un tratto si volse rapidamente verso il figlio e scoppiò a ridere.
«È un brutto affare, eh?»
«Che cosa è brutto, batjuška?»
«La moglie!» rispose il vecchio principe secco e allusivo.
«Non capisco,» disse il principe Andrej.
«Ma non c'è niente da fare, caro mio,» disse il principe, «sono tutte uguali. Disammogliarti non puoi. Non aver paura: non lo dirò a nessuno; ma tu lo sai da te.»
Gli afferrò una mano con la sua piccola e ossuta, gliela scosse, lo fissò con quel suo sguardo rapido che pareva vedere l'uomo in trasparenza e scoppiò nuovamente nella sua fredda risata.
Il figlio sospirò, ammettendo, con quel sospiro, che il padre l'avesse capito. Il vecchio, continuava a piegare e a sigillare le lettere con i suoi veloci gesti abituali, afferrava e allontanava la ceralacca, il sigillo, la carta.