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   Capitolo VI   

   
   Dopo aver parlato ancora per un po' con l'esaul dell'attacco dell'indomani, che ora, vedendo i francesi così vicini, Denisov sembrava aver definitivamente deciso, Denisov voltò il cavallo e tornò indietro.   
   «Bene, fvatello, ova possiamo andave ad asciugavci,» disse a Petja.   
   Quando fu vicino al posto di guardia nel bosco, Denisov si fermò, scrutando fra gli alberi. Nel bosco, fra gli alberi, avanzava a grandi falcate leggere sulle lunghe gambe, con le lunghe braccia a penzoloni, un uomo in giubbetto, lapty e cappello di Kazan', con un fucile a tracolla e un'ascia alla cintola. Vedendo Denisov, l'uomo gettò in fretta qualcosa in mezzo a un cespuglio e toltosi il cappello bagnato con le falde ricurve, si avvicinò al suo capo. Era Tichon. Il volto segnato dal vaiolo e dalle rughe si illuminò di compiacimento e di allegria. Alzò il capo e, come trattenendo il riso, si mise a fissare Denisov.   
   «Be', dove sei andato a finive?» disse Denisov.   
   «Dove sono andato a finire? Sono andato per francesi,» rispose pronto e ardito Tichon con una voce da basso rauca ma melodiosa.   
   «Pevché ci sei andato di giovno? Bestia! E allova, non ne hai pveso?...»   
   «Per prenderlo, l'ho preso,» disse Tichon.   
   «E dov'è?»   
   «Ma l'avevo preso fin da principio, ancora all'alba,» proseguì Tichon, divaricando i piedi piatti nei lapty, «e l'ho portato nel bosco. Poi ho visto che non serviva. Allora ho pensato: magari ci vado di nuovo, ne prendo un altro più adatto.»   

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