«Ma è proprio una gran canaglia,» disse Denisov all'esaul. «Ma pevché non ci hai povtato quello?»
«E perché portarlo,» lo interruppe subito stizzosamente Tichon, «non andava bene. Forse che non lo so quali sono quelli che vi servono?»
«Ah, bestiaccia!... E allova?»
«Sono andato a cercarne un altro,» proseguì Tichon, «striscio così nel bosco e mi ci appiattisco.» Improvvisamente e agilmente Tichon si stese sulla pancia mostrando come avesse fatto. «Me ne arriva uno a tiro,» proseguì. «E io te lo agguanto in questa maniera.» E Tichon balzò in piedi rapido e leggero. «Andiamo, gli dico, andiamo dal colonnello. E quello a far chiasso. E ce n'erano altri quattro. Mi si buttano addosso con le spade. E io così con l'ascia: che cosa fate, Cristo sia con voi!» si mise a urlare Tichon agitando le braccia e sporgendo il petto con cipiglio minaccioso.
«Eh già, noi dall'alto abbiamo visto benissimo come te la filavi per i pantani,» disse l'esaul ammiccando con occhietti scintillanti.
Petja aveva una gran voglia di ridere, ma vedeva che tutti si trattenevano. Guardava rapidamente ora Tichon, ora l'esaul, ora Denisov senza riuscire a capire che cosa significasse tutta quella storia.
«Non fave lo stupido,» disse Denisov tossendo rabbiosamente. «Pevché non hai povtato il pvimo?»
Tichon incominciò a grattarsi con una mano la schiena e con l'altra la testa e, ad un tratto, tutta la sua grinta si spianò in uno sciocco e radioso sorriso che rivelò la mancanza di un dente (per questo era soprannominato Scerbatyj). Denisov sorrise e Petja scoppiò in una allegra risata alla quale si unì lo stesso Tichon.
«Ma no, non andava bene per niente,» disse Tichon. «Aveva indosso uno