preoccupazione in tutti: le calzature. Più della metà degli uomini avevano gli scarponi a pezzi. Ma questa carenza non poteva imputarsi al comandante del reggimento; infatti, nonostante le reiterate richieste, l'amministrazione austriaca non aveva rilasciato le scarpe, e il reggimento aveva percorso mille chilometri a piedi.
Il comandante del reggimento era un generale già anziano, sanguigno, con le sopracciglia e le fedine brizzolate, robusto; più largo e compatto dal petto alla schiena che non da una spalla all'altra. Indossava un'uniforme nuova fiammante, che mostrava ancora le pieghe degli indumenti nuovi, a lungo riposti, e folte spalline dorate che parevano non abbassare, ma rialzare le sue spalle massicce. Il comandante aveva l'aspetto d'un uomo che compie con gioia uno degli atti più solenni della vita. Camminava davanti al reggimento schierato e, camminando, traballava a ogni passo, flettendo leggermente la schiena. Si vedeva che il comandante ammirava il suo reggimento, che ne era soddisfatto e tutte le sue energie spirituali erano dedicate solo al reggimento. E nondimeno, la sua andatura traballante sembrava rivelare che, oltre agli interessi militari, nella sua anima occupavano un posto non indifferente altri interessi, come la vita di società e il sesso femminile.
«Ebbene, carissimo Mihajla Mitriè,» disse, rivolgendosi al suo comandante di battaglione, il quale sorridendo si fece avanti. Si vedeva che erano entrambi soddisfattissimi. «C'è stato un bel daffare stanotte. Niente male, però, il reggimento non è dei peggiori... Eh?»
Il comandante di battaglione comprese quell'allegra ironia e scoppiò a ridere.
«Non ci caccerebbero fuori nemmeno dal Campo di Caricyn.»
«Che cosa?» disse il comandante.