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   In quel momento sulla strada che veniva dalla città, e lungo la quale erano state scaglionate delle sentinelle, apparvero due uomini a cavallo. Erano un aiutante di campo e il suo cosacco, che gli cavalcava appresso.   
   L'aiutante era stato inviato dallo stato maggiore per confermare al comandante del reggimento ciò che era stato espresso in termini così poco chiari nell'ordine del giorno, e cioè che il comandante in capo voleva assolutamente vedere il reggimento nelle condizioni in cui aveva compiuto la marcia: con i cappotti, con le armi nei foderi e senza alcun preparativo preliminare.   
   Il giorno prima era arrivato da Vienna al quartier generale di Kutuzov un membro deIl'Hofskriegsrat di Vienna, con la proposta e la richiesta che il reggimento andasse al più presto a congiungersi con l'armata dell'arciduca Ferdinando e di Mack. Kutuzov, che non considerava opportuna quella congiunzione, a sostegno della propria tesi intendeva fra l'altro mostrare al generale austriaco le tristi condizioni in cui si trovavano le truppe arrivate dalla Russia. A tale scopo, appunto, egli voleva ispezionare il reggimento: quanto peggiori fossero state le condizioni in cui esso si trovava, tanto più contento sarebbe stato il comandante in capo. Sebbene l'aiutante non conoscesse questi particolari, trasmise tuttavia al comandante del reggimento la perentoria richiesta che gli uomini fossero in cappotto e con le armi nei foderi; in caso contrario, il comandante in capo non avrebbe nascosto il suo disappunto.   
   A queste parole, il comandante del reggimento abbassò la testa, si strinse in silenzio nelle spalle e spalancò le braccia in un gesto di collera.   
   «Bel pasticcio abbiamo combinato!» disse. «Ve l'avevo detto io, Michajla Mitriè, che eravamo in marcia, e quindi ci volevano i pastrani,»

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