risposta, si rispose da sé: «Ho avuto l'ordine di informarmi e sto appunto informandomi... Voi però lasciatemi andare nel punto più... più importante... Io non vado in cerca di ricompense... Vorrei però...» Petja strinse i denti e si guardò intorno, scuotendo la testa eretta e agitando le mani.
«Pvopvio nel punto più impovtante...,» ripeté Denisov sorridendo.
«Soltanto, ve ne prego, datemi un posto di comando... che io possa comandare,» prosegui Petja, «ma sì, che cosa vi costa? Ah, volete un coltello?» disse a un ufficiale che voleva tagliare un pezzo di montone.
E gli passò il suo coltello a serramanico. L'ufficiale ammirò il coltello.
«Tenetevelo pure, vi prego. Io ne ho tanti altri così...» disse Petja arrossendo. «Accidenti! Me ne ero dimenticato!» gridò ad un tratto. «Ho della magnifica uva passa! Sapete, di quella senza noccioli. Da noi c'è un nuovo vivandiere che ha delle cose eccellenti. Ne ho comprate dieci libbre. Io sono abituato alla roba dolce. Ne volete?»
E Petja corse nell'andito dal suo cosacco e tornò con delle bisacce in cui erano cinque libbre di uva passa. «Mangiate, signori, mangiate. E di una caffettiera, non ne avreste per caso bisogno?» chiese all'esaul. «Ne ho comprata una magnifica dal nostro vivandiere. Ha delle cose bellissime. E poi è molto onesto. È questo che conta. Ve la manderò senza fallo. E forse vi si sono consumate le pietre focaie, son cose che succedono. Ne ho portate con me, le ho qui,» e indicò le bisacce, «cento pietre focaie. Le ho comprate molto a buon mercato. Prendete pure tutte quelle che vi occorrono, prego, magari anche tutte...»
E ad un tratto, come spaventato al pensiero di aver parlato troppo, Petja si interruppe e arrossì.