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   Petja distinse un brusio di voci russe e poi vide intorno ai fuochi le sagome scure dei prigionieri russi. Scesero infine giù al ponte e passarono davanti alla sentinella, che passeggiava cupa sul ponte e non disse parola, e sbucarono quindi nell'avvallamento dove li aspettavano i cosacchi.   
   «Bene, ora addio. Dì a Denisov che sarà all'alba, al primo sparo,» disse Dolochov congedandosi, ma Petja lo trattenne per un braccio.   
   «No!» esclamò, «voi siete un vero eroe! Ah, che bello! Che cosa stupenda! Come vi voglio bene!»   
   «Bene, bene,» disse Dolochov. Ma Petja non lo mollava e nel buio Dolochov lo vide chinarsi su di lui. Voleva scambiare un bacio, Dolochov lo baciò, scoppiò a ridere e voltato il cavallo scomparve nell'oscurità.   
   

   Capitolo X   

   
   Tornato al posto di guardia, Petja trovò Denisov che lo stava aspettando, tutto agitato, preoccupato e arrabbiato con se stesso per averlo lasciato andare.   
   «Gvazie a Dio!» gridò. «Ah, gvazie a Dio!» ripeté, mentre ascoltava il racconto entusiastico di Petja. «E che il diavolo ti povti, pev colpa tua non ho dovmito!» esclamò ancora. «Be', gvazie a Dio, ova va a dovmive.   
   Pvima di mattina possiamo ancora favci una dovmitina».   
   «Sì... no,» disse Petja. «Non ho ancora voglia di dormire. E poi mi conosco, se mi addormento, è finita. E poi sono abituato a non dormire prima di una battaglia.»   
   Petja rimase ancora un po' nell'isba, ricordando con gioia i particolari della sua incursione e intento a immaginare quel che sarebbe

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