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   Un cane guaì là dietro, nel punto dove era seduto Karataev. «Scemo, cos'hai da guaire?» pensò Pierre.   
   I soldati compagni di prigionia, che camminavano accanto a Pierre, non si voltarono, come non si voltava lui, verso il luogo da cui era venuto lo sparo e poi il guaito del cane; ma su tutti i volti aleggiava un'espressione severa.   
   

   Capitolo XV   

   
   Il dépot, e i prigionieri, e il convoglio del maresciallo si fermarono nel villaggio di Samševo. Tutti si accalcarono attorno ai fuochi. Pierre si avvicinò a un fuoco, mangiò un pezzo di carne di cavallo arrostita, si sdraiò con la schiena verso il fuoco e si addormentò subito. Piombò nello stesso sonno che lo aveva colto a Možajsk dopo Borodino.   
   Di nuovo gli avvenimenti della realtà si confondevano con le visioni del sogno e di nuovo qualcuno, forse lui stesso, forse qualcun altro, gli trasmetteva dei pensieri, proprio quegli stessi pensieri che si era sentito comunicare a Možajsk.   
   «La vita è tutto. La vita è Dio. Tutto perennemente si sposta, si muove, e questo movimento è Dio. E finché c'è la vita, esiste il piacere dell'autocoscienza della divinità. Amare la vita è amare Dio. La cosa più difficile e più gioiosa è amare questa vita nelle sue sofferenze, nella sofferenza senza colpa.»   
   «Karataev!» venne in mente a Pierre.   
   E tutto ad un tratto, come se fosse vivo, anche se da tempo dimenticato, apparve a Pierre il mite vecchio professore che in Svizzera gli insegnava la geografia. Aspetta,» diceva il vecchio e indicava a

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