verso una regione ricca e gli era aperta quella via parallela sulla quale poi lo inseguì Kutuzov, quell'inutile ritirata lungo una strada devastata ci viene spiegata con profonde e svariate considerazioni. Con analoghe profonde considerazioni ci viene descritto il suo eroismo presso Krasnoe, dove si sarebbe preparato ad accettar battaglia e a comandare lui stesso gli uomini e dove si aggirava con un bastone di betulla dicendo:
«J'ai assez fait l'Empereur, il est temps de faire le général» e subito dopo riprendeva la fuga abbandonando in balia della sorte, sparpagliate e isolate, le unità dell'esercito che si trovavano più indietro.
Gli storici passano poi a descriverci la grandezza d'animo dei marescialli, soprattutto di Ney, grandezza d'animo basata sul fatto di esser riuscito a passare il Dnepr infilandosi di notte in una foresta e girando al largo dai russi, ed esser giunto a Orša senza bandiere, senza artiglieria e senza i nove decimi delle truppe.
E, infine l'ultimo abbandono da parte del grande imperatore del suo eroico esercito ci viene presentato dagli storici come qualcosa di grande e di geniale. Persino quest'ultimo atto della fuga, che nel linguaggio degli uomini rappresenta l'ultimo grado della viltà, di cui ogni bambino impara a vergognarsi, persino quest'atto nel linguaggio degli storici trova una sua giustificazione.
Quando poi è ormai impossibile tendere oltre le già tanto elastiche fila delle considerazioni storiche, quando l'azione è ormai troppo evidentemente contraria a ciò che tutta l'umanità chiama bene e anche giustizia, gli storici si rifugiano nel concetto di grandezza. Per il grande non esiste il male. Non c'è orrore che possa essere imputato a carico di chi è grande.
«C'est grand!» dicono gli storici e allora non esiste più né bene né