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voluto dare il cambio a Nataša, ma non potevano. Vedevano che lei sola poteva trattenere la madre dal precipitare in una folle disperazione. Per tre settimane Nataša rimase accanto alla madre senza lasciarla un momento, dormiva nella poltrona della sua camera, la faceva bere e mangiare incessantemente parlando, parlando, perché solo la sua voce affettuosa e carezzevole aveva il potere di calmarla.   
   La ferita mortale della madre non poteva risanarsi. La morte di Petja le aveva strappato metà della vita. All'arrivo della notizia della morte di Petja era una fresca e attiva donna di cinquant'anni, quando un mese dopo uscì dalla sua stanza, era una vecchia mezza morta, completamente abulica. Ma la stessa ferita che dimezzò la vita alla contessa richiamò Nataša alla vita.   
   La ferita morale prodotta dalla lacerazione del proprio io spirituale, allo stesso modo di una ferita fisica - per quanto strano possa sembrare - quando si è chiusa e rimarginata, guarisce solo grazie alla forza della vita che urge dall'interno.   
   Così guarì la ferita di Nataša. Aveva creduto che la sua vita fosse finita. Ma, ad un tratto, l'amore per la madre le mostrò che l'essenza della vita, l'amore, era ancora viva in lei. Si ridestò l'amore e con esso la vita.   
   Gli ultimi giorni del principe Andrej avevano legato Nataša alla principessina Mar'ja. La nuova disgrazia le unì ancora di più. La principessina Mar'ja aveva rimandato la partenza e nelle ultime tre settimane assistette Nataša come si assiste un bambino malato. Le settimane trascorse nella stanza della madre avevano spezzato le forze fisiche di Nataša.   
   Una volta, a metà della giornata, notando che Nataša era scossa dai

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