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anche due sergenti maggiori e il fuoco vi crepitava più intensamente che altrove. In cambio del diritto di sedersi al riparo della graticciata, si esigeva un po' di legna.   
   «Ehi, Makeev, ma che fai... Sei scomparso o ti hanno mangiato i lupi? Porta della legna,» gridò un soldato dalla faccia rossa, di pelo fulvo, che strizzava gli occhi e sbatteva le palpebre per il fumo, ma non si allontanava dal fuoco. «Scomodati almeno tu, cornacchia, porta della legna,» disse rivolto a un altro.   
   L'uomo fulvo non era né un sottufficiale né un caporale, ma un soldato semplice nerboruto, che perciò comandava quelli che erano più deboli di lui. Il soldato soprannominato cornacchia, magro, piccolo, con un naso aguzzo si alzò docilmente per eseguire l'ordine, ma, in quel momento, nel riverbero del fuoco si delineò la sagoma sottile e bella di un giovane soldato che portava un fascio di legna.   
   «Dà qua. Ecco quello che ci voleva!»   
   Spaccarono la legna, la compressero, fecero vento con le bocche e con le falde dei cappotti e la fiamma sibilò e crepitò. I soldati si avvicinarono e accesero le pipe. Il soldato giovane e leggiadro che aveva portato la legna si piantò i pugni sui fianchi e cominciò a battere per terra con agilità e destrezza i piedi intirizziti.   
   «Ah, mammina, la rugiada è fredda ma bella, e si parte moschettiere...» canterellava, ed era come se ad ogni sillaba della canzone fosse interrotto da un singhiozzo.   
   «Ehi, ti voleranno via le suole!» gridò il soldato rossiccio, vedendo che il ballerino aveva una suola mezzo staccata. «Accidenti che impeto!»   
   Il ballerino si fermò, strappò il pezzo di suola che sbatteva per aria e lo gettò nel fuoco.   

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