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   «Qui eut le triple talent   
   De boire, de battre   
   Et d'être un vert galant ...»   
   
   «Anche questa va bene. Tocca a te Zaletaev. «Chiù-iù-iù...» pronunciò con sforzo Zaletaev. «Chiù-iù-iù...» strascicò la parola arrotondando con cura le labbra, «letriptalà de bu de ba e detravagalà,» canterellò.   
   «Ah, benissimo! Pare proprio un francese! Ohi... oh-oh-oh-oh! E vuoi ancora da mangiare?   
   «Dagli dell'altra kaša; ce ne vuole per fargli passare la fame.»   
   Gli diedero ancora kaša, e Morel, ridendo, attaccò la terza gavetta. Tutti i volti dei giovani soldati che stavano a guardarlo erano illuminati da un gioioso sorriso. I vecchi soldati, che ritenevano sconveniente occuparsi di simili sciocchezze, se ne stavano sdraiati dall'altra parte del fuoco, ma ogni tanto si sollevavano sul gomito e ammiccavano sorridenti in direzione di Morel.   
   «Sono uomini anche loro,» disse uno di essi, avviluppandosi nel cappotto. «Perfino l'assenzio ha la sua radice.»   
   «Oh! Signore! Quante stelle! Un subisso! Segno di gelo...»   
   E tutto piombò nel silenzio. Le stelle, come se sapessero che ora nessuno le guardava più, scintillavano al massimo nel cielo nero. Ora ravvivandosi, ora smorzandosi, bisbigliavano fra loro comunicandosi qualcosa di gioioso e misterioso insieme.   
   

   Capitolo X   

   

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