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in preda alla commozione, a poco a poco la indussero a entrare in quei particolari che temeva anche per sé di risuscitare.   
   «Sì, sì, è così, così...» diceva Pierre, protendendosi con tutto il corpo verso la principessina e ascoltando avidamente il racconto. «Sì, sì, si era dunque calmato, raddolcito? Con tutte le forze, dell'anima aveva sempre cercato una sola cosa: essere perfettamente buono, che certo non poteva temere la morte. I difetti che aveva - se ne aveva - non derivavano da lui. E così si era raddolcito?» chiedeva ancora Pierre. «Che fortuna che abbia potuto vedervi,» disse a Nataša rivolgendosi improvvisamente a lei con occhi pieni di lacrime.   
   Nataša sussultò. Per un istante si accigliò e abbassò gli occhi. Ebbe un momento di esitazione se parlare o non parlare.   
   «Sì, è stata una fortuna,» disse poi con voce sommessa e profonda. «Per me sicuramente è stata una fortuna.» Fece una pausa. «E lui... anche lui... diceva che lo desiderava quando venni da lui...»   
   La voce di Nataša si incrinò. Arrossì, strinse le mani sui ginocchi e ad un tratto, facendo chiaramente uno sforzo su se stessa, alzò il capo e cominciò rapidamente a parlare:   
   «Noi non sapevamo niente quando siamo partiti da Mosca. Io non osavo chiedere di lui. E a un tratto Sonja mi ha detto che era con noi. Non ho pensato a niente, non potevo immaginarmi in che stato fosse; avevo soltanto bisogno di vederlo, di essere con lui,» diceva tremando e ansimando.   
   E senza farsi interrompere, raccontò ciò che non aveva mai raccontato a nessuno: tutto quello che aveva provato in quelle tre settimane del loro viaggio e della loro vita a Jaroslavl'.   
   Pierre l'ascoltava a bocca aperta fissandola con gli occhi pieni di

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