ogni volta si salva in modo inaspettato. Le truppe russe, che avrebbero potuto annientare la sua gloria, in seguito a diverse considerazioni diplomatiche non entrano in Europa finché egli vi si trova.
Di ritorno dall'Italia trova a Parigi il governo in preda a quel processo di disgregazione in cui gli uomini che ne assumono le redini vengono inevitabilmente logorati e distrutti. Ed ecco che gli si presenta una via d'uscita da quella pericolosa situazione, e cioè l'insensata e immotivata spedizione in Africa. Di nuovo i cosiddetti casi fortuiti riprendono ad accompagnarlo. La flotta nemica, che in seguito non lascerà più passare nemmeno una barca, lascia passare un'intera armata. In Africa viene commessa tutta una serie di misfatti su popolazioni quasi inermi. E gli uomini che commettono questi misfatti, e in modo particolare il loro condottiero, sono sicuri che si tratti di cose magnifiche, gloriose, degne di Cesare e di Alessandro Magno.
Quell'ideale di gloria e di grandezza che consiste non solo nel ritenere che tutto sia lecito, ma nell'andar fieri di ogni proprio delitto, attribuendogli un significato incomprensibile e soprannaturale, quell'ideale che doveva guidare quest'uomo e gli uomini legati a lui si elabora ampiamente in Africa. Tutto ciò che fa, gli riesce. La peste non lo attacca. La crudeltà dell'uccisione dei prigionieri non gli viene ascritta a colpa. La sua partenza fanciullescamente imprudente, immotivata e poco nobile dall'Africa, ove abbandona i compagni di sventura, gli viene ascritta a merito; e di nuovo la flotta nemica lo lascia passare per due volte. Quando pronto a sostenere la sua parte arriva senza alcuno scopo a Parigi, completamente inebriato dai fortunati crimini commessi, la disgregazione del governo repubblicano, che un anno prima avrebbe potuto rovinarlo, ora ha raggiunto un grado estremo, e la sua presenza, la