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circondano, che lo preparano ad assumere su di sé l'intera responsabilità di ciò che accade e dovrà accadere. Non c'è atto, misfatto o meschino inganno da lui commesso che subito non diventi sulle labbra di chi lo circonda una grande impresa. La miglior festa che i tedeschi riescono ad inventare per lui è la commemorazione di Jena e di Auerstädt. Non è solo lui ad essere grande, ma sono grandi i suoi avi, i suoi fratelli, i suoi figliastri e i suoi cognati. Tutto congiura al fine di privarlo dell'ultimo barlume di ragionevolezza e prepararlo alla parte terribile che gli è assegnata. E quando è pronto, sono pronte anche le forze necessarie.   
   L'invasione si avventa a oriente, raggiunge la meta finale: Mosca. La capitale è presa; l'esercito russo è annientato in misura maggiore degli eserciti nemici nelle guerre precedenti, da Austerlitz a Wagram. Ma improvvisamente, al posto di quei casi e di quella genialità, che in modo così progressivo lo hanno guidato finora, con una serie ininterrotta di successi, verso lo scopo prestabilito, si profilano una quantità incalcolabile di casi contrari, dal raffreddore di Borodino al gelo e alla scintilla che incendia Mosca; e invece della genialità, appaiono una stupidità e una viltà senza paragoni.   
   L'invasore fugge, ritorna sui suoi passi, di nuovo fugge e tutti i casi fortuiti non sono più costantemente a suo favore, ma contro di lui.   
   Si verifica un contromovimento da oriente a occidente, che ha una sorprendente somiglianza col movimento da occidente a oriente che l'ha preceduto. Gli stessi tentativi di movimento da oriente a occidente del 1804, 1807, 1809 precedono il grande movimento; lo stesso fondersi in un raggruppamento di enormi dimensioni; la stessa adesione al movimento da parte dei popoli intermedi; la stessa esitazione a mezza via e la stessa

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