unzione, morì quietamente, e il giorno dopo una folla di conoscenti venuti a dare l'estremo saluto al defunto, riempiva l'appartamento in affitto dei Rostov. Tutti questi conoscenti, che tante volte avevano pranzato e ballato in casa sua, che tante volte avevano riso di lui, ora con un identico sentimento di rimorso e di commozione, come giustificandosi di fronte a qualcuno, dicevano: «Sì, comunque la si pensi, era però un uomo eccellente. Uomini così oggi non se ne trovano più. E chi non ha le sue debolezze?»
Proprio nel momento in cui i suoi affari erano talmente aggrovigliati da rendere difficile pensare una via d'uscita se si fosse andati avanti così ancora per un anno, il conte improvvisamente morì.
Nikolaj si trovava con le truppe russe a Parigi quando gli giunse la notizia della morte del padre. Chiese subito il congedo e senza aspettarlo si fece dare una licenza e raggiunse Mosca. La situazione finanziaria a un mese dalla morte del conte si era perfettamente delineata, meravigliando tutti per l'enormità della cifra causata da vari piccoli debiti, di cui nessuno sospettava nemmeno l'esistenza. I debiti ammontavano al doppio del patrimonio.
I parenti e gli amici consigliarono a Nikolaj di rifiutare l'eredità. Ma in questo rifiuto Nikolaj vedeva una specie di rimprovero alla memoria, per lui sacra, del padre e perciò non ne volle sentir parlare e accettò l'eredità con l'obbligo di pagare i debiti.
I creditori, che avevano taciuto per tanto tempo, legati, finché il conte era in vita, da quella vaga ma potente influenza che esercitava su di loro la sua stanca bontà, adirono ad un tratto tutti alle vie legali. Si assistette così, come sempre succede, a una specie di gara a chi avrebbe ricevuto per primo quanto gli spettava e quelle stesse persone