che, come Miten'ka e altri, avevano avuto in regalo cambiali senza valore, si dimostrarono ora i creditori più esigenti. A Nikolaj non si concedevano né dilazioni, né momenti di tregua, e quelli che evidentemente avevano avuto pietà del vecchio, che era il responsabile delle loro perdite (se perdite c'erano state), ora si scagliavano spietatamente contro il giovane erede che era evidentemente senza colpa di fronte a loro e che si era assunto volontariamente l'onere del pagamento.
Nessuna delle soluzioni proposte da Nikolaj riuscì; la tenuta fu venduta all'asta a metà prezzo, e la metà dei debiti rimase ancora da pagare. Nikolaj accettò trentamila rubli offertigli dal cognato Bezuchov per pagare quella parte dei debiti che egli riconosceva come debiti reali, debiti in denaro. E per non finire in carcere per gli altri debiti, cosa di cui i creditori lo minacciavano, decise di riprendere un impiego statale.
Tornare nell'esercito, dove al primo posto vacante sarebbe diventato comandante di reggimento, non era possibile, perché sua madre si era attaccata a lui come all'ultima ragione di vita; e perciò, nonostante la sua avversione a fermarsi a Mosca in un ambiente di persone che l'aveva conosciuto precedentemente, e la sua repulsione per un impiego civile, Nikolaj trovò a Mosca un posto nell'amministrazione civile e, toltasi l'amata uniforme, si stabilì con la madre e con Sonja in un piccolo appartamento a Sivcev-Vražëk.
Nataša e Pierre abitavano in quel periodo a Pietroburgo senza avere un'idea chiara della situazione di Nikolaj. Prendendo a prestito del denaro dal cognato, Nikolaj aveva cercato di tenergli nascosta la sua disastrosa situazione. Infatti, con i milleduecento rubli dello stipendio non solo doveva mantenere sé, Sonja e la madre, ma doveva mantenere sua