risultati così buoni.
La contessa Mar'ja era gelosa di questa passione di suo marito e si rammaricava di non potervi partecipare; ma non poteva capire le gioie e le amarezze che gli procurava quel mondo a se stante, per lei estraneo. Non poteva capire perché fosse così particolarmente animato e felice quando, dopo essersi alzato all'alba e aver trascorso l'intera mattinata nei campi o sull'aia, tornava da lei per il tè da una semina, da una falciatura o da un raccolto. Non riusciva a condividere la sua ammirazione per il contadino agiato Matvej Ermišin, il quale - raccontava Nikolaj tutto entusiasta - per tutta la notte aveva trasportato covoni con la famiglia, e mentre nessuno aveva ancora portato i covoni sulle aie, lui aveva già le biche alte. Non capiva perché con tanta gioia, passando dalla finestra al balcone, sorridesse sotto i baffi ammiccando, quando una pioggerella tiepida e fitta cadeva sui germogli dell'avena che stavano inaridendo, o perché, quando il vento sospingeva via dai luoghi di falciatura e di raccolto una nube minacciosa, Nikolaj, rosso, abbronzato e tutto sudato, con i capelli odorosi di artemisia e di genziana, rientrando in casa dall'aia, fregandosi allegramente le mani dicesse: «Bene, ancora una giornatina, e tutto il raccolto, sia il mio che quello dei contadini, sarà sulle aie.»
Ancor meno poteva capire perché mai, col suo buon cuore, con la sua costante prontezza nel prevenire i suoi desideri, quasi si disperasse quando lei gli trasmetteva le preghiere di qualche donna o di qualche contadino che si erano rivolti a lei per essere esentati da un lavoro; perché mai lui, il buon Nicolas, ostinatamente le opponesse un rifiuto, pregandola con irritazione di non immischiarsi in faccende che non la riguardavano. Sentiva che per lui esisteva un mondo a parte, cui era