vale, amico mio, grazie di esserti ricordato di questa povera vecchia...», si vedeva che l'arrivo di Pierre in quel momento la disturbava, perché la distoglieva dal solitario che non aveva ancora finito di disporre sul tavolo. Terminò quindi il solitario e solo allora si occupò dei regali. I regali consistevano in un astuccio per le carte di stupenda fattura, in una tazza di Sèvres di un azzurro vivo, con un coperchio ove erano dipinte delle pastorelle e in una tabacchiera d'oro col ritratto del conte, che Pierre aveva ordinato a un miniaturista di Pietroburgo (la contessa desiderava da tempo quest'oggetto). In quel momento non aveva bisogno di piangere e perciò guardò con indifferenza il ritratto e si interessò soprattutto dell'astuccio.
«Ti ringrazio, amico mio, mi hai dato una consolazione,» disse, come diceva sempre. «Ma il regalo migliore è che sei tornato. Non si sapeva più che cosa fare, dovresti almeno sgridare un po' tua moglie. Cose da non dirsi! Senza di te pareva impazzita. Non vedeva, non capiva nulla,» diceva, ripetendo le solite frasi. «Guarda, Anna Timofeevna,» soggiunse, «che astuccio mi ha portato mio genero.»
La Belova lodò i regali e andò in estasi per la sua stoffa.
Benché Pierre, Nataša, Nikolaj, la contessa Mar'ja e Denisov desiderassero parlare fra loro di molte cose che non era il caso di dire davanti alla contessa, e questo non perché la si volesse tenere all'oscuro di qualche cosa, ma perché era ormai così lontana da tante cose che, incominciando a parlare davanti a lei, si sarebbe dovuto rispondere a domande fatte a sproposito e ripetere cose già ripetute molte altre volte: raccontare che il tale era morto, quell'altro si era sposato, tutte cose che lei non riusciva a ricordare; tuttavia, come d'abitudine, rimasero in salotto a bere come al solito il tè intorno al samovar e Pierre rispondeva