E sorrise con approvazione, palesemente soddisfatto dello junker. Rostov si sentì assolutamente felice. In quel momento sul ponte apparve un ufficiale superiore. Denisov galoppò verso di lui.
«Eccellenza! Comandate l'attacco! Io li sbavaglievò.»
«Macché attacchi,» rispose il superiore con voce annoiata, aggrottandosi come se fosse stato infastidito da una mosca. «E che ci fate, qui? Lo vedete che le pattuglie si ritirano. Portate indietro lo squadrone.»
Lo squadrone attraversò il ponte e uscì da sotto il fuoco senza aver perso un solo uomo. Dopo, passò un secondo squadrone che aveva tenuto la linea, e gli ultimi cosacchi sgomberarono la riva.
Attraversato il ponte, i due squadroni del reggimento di Pavlograd si ritirarono l'uno dopo l'altro verso le colline. Il comandante del reggimento Karl Bogdanoviè Schubert si avvicinò a cavallo allo squadrone di Denisov e transitò al passo non lontano da Rostov senza rivolgergli la minima attenzione, sebbene si vedessero per la prima volta dopo il battibecco provocato dalla faccenda di Teljanin. Rostov, sentendo di essere, qui sulla linea del fuoco, in balia dell'uomo verso il quale ora si considerava colpevole, non distoglieva gli occhi dalla schiena possente, dalla nuca bionda e dal collo rosso del comandante del reggimento. A tratti pensava che Bogdanyè fingesse di non badargli e volesse mettere alla prova il suo valore, sicché Rostov si raddrizzava guardandosi baldanzosamente attorno; in altri momenti gli sembrava che Bogdanyè gli passasse accanto a bella posta per mostrargli il proprio valore. Talvolta gli veniva fatto di pensare che il suo avversario avrebbe mandato apposta lo squadrone a un attacco disperato per punire lui, Rostov; talaltra prevedeva che dopo l'attacco Bogdanyè si sarebbe