avvicinato, e a lui, ferito, avrebbe con gesto magnanimo teso la mano della rappacificazione.
La figura di Žerkov, ben nota per quella sua sagoma dalle spalle alte, si avvicinò al comandante del reggimento in sella al suo cavallo. Da poco aveva lasciato il reggimento. Infatti, dopo l'espulsione dallo stato maggiore, s'era rifiutato di restare al reggimento e aveva dichiarato che lui non era tanto stupido da tirar la carretta sulla linea del fuoco quando al comando, senza far nulla, avrebbe ottenuto maggiori ricompense. Poi era riuscito a sistemarsi come ufficiale d'ordinanza presso il principe Bagration. Ora veniva dal suo ex superiore con un ordine da parte del comandante della retroguardia.
«Colonnello,» disse con la sua tetra serietà, rivolgendosi all'avversario di Rostov e sbirciando i compagni, «abbiamo l'ordine di fermarci e d'incendiare il ponte.»
«Chi dato ordine?» domandò cupamente il colonnello.
«Non so chi dato ordine, colonnello,» rispose seriamente Žerkov, «ma il principe mi ha comandato: "Va' e di' al colonnello che gli ussari tornino subito indietro e appicchino il fuoco al ponte."»
Subito dopo Žerkov, al colonnello degli ussari si avvicinò un ufficiale del seguito con lo stesso ordine. Poi, si avvicinò anche il grosso Nesvickij, in sella a un cavallo cosacco che a stento sosteneva il galoppo.
«Ma come, colonnello,» gridò, mentre era ancora al galoppo, «io vi ho detto di bruciare il ponte e adesso qualcuno ha svisato il mio ordine; laggiù stanno tutti perdendo la testa, non ci si raccapezza più.»
Il colonnello fermò senza fretta il reggimento e si rivolse a Nesvickij: