Denisov - di ritornare al ponte.
«È così dunque,» pensava Rostov, «lui vuol mettermi alla prova!» Provò una fitta al cuore e il sangue gli salì al viso. «Adesso vedrà se sono un vigliacco,» pensò.
Di nuovo su tutte le allegre facce si lesse quell'espressione grave che già vi era apparsa quando si erano trovati sotto il tiro delle cannonate. Rostov guardava fisso il suo avversario, il comandante del reggimento, sperando di scorgere sulla sua faccia la conferma delle proprie intuizioni; ma il colonnello non guardò Rostov nemmeno una volta; aveva, invece, come sempre sulla linea del fuoco, uno sguardo severo e solenne. Risuonò un comando.
«Presto! Presto!» dissero vicino a lui diverse voci.
Gli ussari, impigliandosi con le sciabole nelle redini, rumoreggiando con gli speroni cominciarono a smontare veloci da cavallo senza sapere nemmeno perché lo facessero. Ormai Rostov non guardava più il comandante del reggimento; non ne aveva più il tempo. Temeva, al punto di sentirsi arrestare il battito del cuore, di restare indietro rispetto agli ussari. La mano gli tremava mentre consegnava il cavallo all'attendente. Sentiva il proprio sangue affluire al cuore. Gli passò accanto Denisov, rovesciandosi indietro e gridando qualcosa. Rostov non vedeva nulla, eccetto gli ussari che correvano intorno a lui impigliandosi con gli speroni e facendo tintinnare le sciabole.
«Barella!» gridò una voce dietro di lui.
Rostov non pensò a quel che significava la richiesta d'una barella; egli correva, sforzandosi soltanto di rimanere in testa a tutti; ma proprio vicino al ponte, poiché non guardava dove metteva i piedi, si ritrovò in mezzo al fango viscido e calpestato, inciampò e cadde sulle