oltre, i cappotti turchini che si avvicinavano con le baionette e i cannoni. E si poneva queste domande.
«Se la vedranno brutta gli ussari!» disse Nesvickij. «Adesso sono giusto a un tiro a mitraglia.»
«Ha fatto male a portarsi dietro tanti uomini,» disse l'ufficiale del seguito.
«Infatti,» disse Nesvickij. «Bastava mandarci due tipi in gamba.»
«Ah, eccellenza,» interloquì Žerkov senza distogliere gli occhi dagli ussari, ma sempre in quel tono innocente che non lasciava capire se parlasse seriamente o no. «Ah, eccellenza! Che cosa dite mai? Mandare due uomini soltanto! E a noi allora chi ci darebbe l'ordine di Vladimir? Così invece, anche se li pestano, si può sempre proporre lo squadrone per un encomio e guadagnarci un nastrino. Il nostro Bogdanyè conosce le buone regole.»
«Ecco,» disse l'ufficiale del seguito, «sparano a mitraglia!»
E indicò i cannoni francesi che venivano staccati dagli avantreni e trascinati indietro in tutta fretta.
Dalla parte francese, in mezzo ai gruppi dove si trovavano i cannoni, si vide levarsi una piccola fumata, e, quasi subito una seconda, una terza. E nell'istante in cui era giunto il rumore del primo tiro, apparve la quarta fumata. Due rimbombi, l'uno dopo l'altro, e poi un terzo.
«Oh, oh!» esclamò Nesvickij come per una fitta di dolore, afferrando per un braccio l'ufficiale del seguito. «Guardate, ne è caduto uno... è caduto, è caduto!»
«Due, mi sembra!»
«Se io fossi l'imperatore, non farei mai la guerra,» disse Nesvickij voltandosi dall'altra parte.