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fendenti da spaccave tutto, ma qui lo sa il diavolo che voba è: ti spavano come al tivo al bevsaglio.»   
   E Denisov si diresse verso un gruppo che si era fermato abbastanza vicino a Rostov: c'erano il comandante del reggimento, Nesvickij, Žerkov e l'ufficiale del seguito.   
   «Però, a quanto pare, nessuno se n'è accorto,» pensò fra sé Rostov. E in effetti nessuno aveva notato nulla, perché ognuno conosceva bene il sentimento che aveva provato per la prima volta lo junker, nuovo com'era all'esperienza del fuoco.   
   «Ecco, sarete citato all'ordine del giorno,» disse Žerkov, «e chissà che non promuovano anche me a sottotenente.»   
   «Riferite al principe che io avere bruciato ponte,» disse il colonnello, allegro e trionfante.   
   «E se mi domandasse delle perdite?»   
   «Sciocchezze!» rispose il colonnello con la sua voce di basso, «due ussari feriti e uno solo accoppato,» aggiunse con palese soddisfazione, incapace di trattenere un sorriso di felicità e scandendo quella bella parola sonora: accoppato.   
   

   Capitolo IX   

   
   Inseguiti dai centomila uomini dell'armata francese al comando di Bonaparte, accolti con ostilità dalle popolazioni, senza più alcuna fiducia nei loro alleati, provati dall'insufficienza degli approvvigionamenti e costretti a operare al di fuori di tutte le prevedibili condizioni di guerra, i trentacinquemila uomini dell'armata russa al comando di Kutuzov si ritiravano in fretta lungo il Danubio,

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