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ricordando gli addii del comandante supremo e dei compagni, il principe Andrej sobbalzava dentro una carrozza postale provando la stessa sensazione di un uomo che a lungo ha atteso, e finalmente ha raggiunto il principio di una desiderata felicità. Se chiudeva gli occhi, nelle sue orecchie riecheggiava la sparatoria dei fucili e dei cannoni, e si fondeva col rollio delle ruote e l'emozione della vittoria. A volte gli apparivano i russi in fuga, l'immagine di lui stesso ucciso, ma tosto si scuoteva, felice, come se fosse tornato consapevole che per la prima volta non era accaduto nulla di tutto questo e che, al contrario, erano stati i francesi a fuggire. Allora di nuovo riaffioravano in lui tutti i particolari della vittoria, il suo tranquillo coraggio durante la battaglia e, calmatosi, si assopiva...   
   E dopo la buia notte stellata sorse un mattino chiaro e lieto. La neve si scioglieva al sole, i cavalli galoppavano veloci e, a destra e a sinistra, sfilavano sempre, nuovi e vari, boschi, campi e villaggi.   
   A una delle stazioni di posta egli raggiunse un convoglio di feriti russi. L'ufficiale russo che guidava il trasporto, sdraiato sul primo carro, gridava qualcosa insultando un soldato con parole volgari. In ognuna delle lunghe carrette tedesche sobbalzavano sulla strada sassosa almeno sei o più feriti, pallidi, bendati e sudici. Alcuni chiacchieravano (il principe Andrej udì parlare in russo); altri mangiavano del pane. I più gravi guardavano in silenzio, con un mite e infantile interesse da malati, il corriere che li oltrepassava al galoppo.   
   Il principe Andrej ordinò di fermare e domandò a un soldato in quale operazione fossero rimasti feriti.   
   «È stato ieri l'altro suI Danubio,» rispose il soldato.   
   Il principe Andrej prese il borsellino e diede tre monete d'oro al

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