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anche le truppe.   
   «Che facciano presto! Presto!» pensava Rostov, sentendo che finalmente era venuto il momento di assaporare il piacere della carica di cui aveva sentito tanto parlare dagli ussari, suoi compagni.   
   «Con l'aiuto di Dio, vagazzi,» risuonò la voce di Denisov, «al tvotto, mavsc!»   
   Nella fila di testa ondeggiarono le groppe dei cavalli. Graèik tirò le redini e si mosse da sé.   
   Rostov vedeva a destra le prime file degli ussari, mentre davanti si scorgeva una striscia scura che lui non poteva identificare con sicurezza, ma che pensava fosse il nemico. Si udivano spari, in lontananza.   
   «Più veloce il tvotto!» tuonò il comando, e Rostov sentì che Graèik inarcava la groppa, passando al galoppo.   
   Indovinava in anticipo i movimenti del cavallo, e si sentiva sempre più allegro. Notò un albero solitario proprio dinanzi a sé. Prima quell'albero era davanti, lontano, al centro di quella linea che sembrava così terribile. Ma ecco che l'avevano sorpassata quella linea; e non solo non c'era nulla di terribile, ma ci si sentiva più allegri ed eccitati. «Ah, come li sferzerò,» pensava Rostov, stringendo nella mano l'elsa della sciabola.   
   «Ur-r-à-a-a!!» tuonarono voci all'intorno.   
   «Mi capiti pure qualcuno sottomano,» pensava Rostov, conficcando gli speroni nei fianchi di Graèik, spronandolo a tutta forza e oltrepassando gli altri. Davanti, il nemico era già visibile. All'improvviso qualcosa, come una grossa scopa, si abbatté sullo squadrone. Rostov sollevò la sciabola, pronto a menar fendenti; ma in quello stesso istante il soldato Nikitenko, il soldato che gli cavalcava davanti, si staccò da lui e Rostov

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