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sentì come in sogno che continuava a galoppare con rapidità innaturale e che al tempo stesso restava dov'era. Da dietro gli venne addosso al galoppo l'ussaro Bondarèuk, che lui ben conosceva, e lo guardò adirato. Il cavallo di Bondarèuk fece uno scarto e gli passò rasente.   
   «Cosa mi succede? Perché non mi muovo? Sono caduto, mi hanno ucciso...» si domandò e si rispose Rostov, in un lampo. Era solo in mezzo al campo. Invece dei cavalli in movimento e delle schiene degli ussari vedeva intorno a sé la terra immobile e le stoppie. Sotto di sé sentiva del sangue tiepido. «No, sono ferito, e il cavallo è stato ucciso.» Graèik fece per sollevarsi sulle zampe anteriori, ma cadde, schiacciando una gamba al cavaliere. Dalla testa del cavallo sgorgava sangue. La bestia si dibatteva, non riusciva a rialzarsi. Rostov volle levarsi in piedi, ma anch'egli cadde. La fibbia si impigliò alla sella. Dove erano i nostri, dove erano i francesi, non lo sapeva. Intorno non c'era nessuno.   
   Liberata la gamba, si alzò in piedi. «Dove, da che parte è, ora, la linea che li separava così nettamente dal nemico?» si domandava e non poteva rispondere. «Se mi fosse successo qualcosa di male? Sono cose che capitano... Ma che cosa bisogna fare in casi del genere?» si domandò, mentre si levava in piedi; e in quel momento sentì che qualcosa di pesante gli penzolava dal braccio destro intorpidito. La sua mano era diventata un corpo estraneo. Si guardò il braccio, cercandovi una traccia di sangue. «Ah, ecco qualcuno,» pensò con gioia, vedendo alcuni uomini che correvano verso di lui. «Loro mi aiuteranno!» In testa a tutti correva un uomo con uno strano berretto e con la mantellina azzurra, nero, abbronzato, dal naso aquilino. Seguivano altri due correndo, e poi molti altri. Uno di loro disse qualcosa di incomprensibile, in una lingua che non era il russo. Fra altri uomini simili a quei primi, con gli stessi copricapi,

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