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batteria. Decise di far togliere lui stesso i cannoni e di sgombrare la posizione. Camminando in mezzo ai cadaveri e sotto il fuoco micidiale dei francesi provvide a far smistare i pezzi.   
   «Poco fa è venuto un superiore, ma se l'è svignata in fretta,» disse l'artificiere al principe Andrej, «non ha fatto come vossignoria.»   
   Il principe Andrej non diceva nulla a Tušin. Erano tutti e due così occupati che non parevano nemmeno vedersi. Quando, dopo aver caricato sugli avantreni i due cannoni ancora servibili, mossero giù per il pendio (un cannone fracassato e un obice vennero abbandonati), il principe Andrej in sella al suo cavallo si avvicinò a Tušin.   
   «Ebbene, arrivederci,» disse, porgendo la mano a Tušin.   
   «Arrivederci, carissimo,» rispose Tušin. «Arrivederci, caro amico,» ripeté fra le lacrime che, ad un tratto, chissà perché, gli erano sgorgate dagli occhi.   
   

   Capitolo XXI   

   
   Il vento era caduto; nuvole nere gravavano sul campo di battaglia, fondendosi all'orizzonte col fumo della polvere. Calava la notte, cosicché in due punti dell'orizzonte il bagliore degli incendi risaltava, più vivo. Il cannoneggiamento era più debole, ma il crepitio dei fucili alle spalle e a destra echeggiava anche più fitto e più vicino di prima. Quando Tušin con i suoi pezzi, aggirando i feriti e rischiando a ogni passo di calpestarli, uscì dal raggio del fuoco e arrivò in fondo all'avvallamento, lo accolsero i comandanti e gli altri ufficiali, e fra questi l'ufficiale di stato maggiore e Žerkov, che due volte era stato mandato e neanche una volta era arrivato alla batteria di Tušin. Tutti costoro, parlando

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