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«Con il vostro cuore così generoso», oppure: «Voi siete così perfetto, conte...» oppure: «Se quell'uomo avesse la vostra intelligenza», e così via; sicché Pierre cominciava davvero a credere nella propria eccezionale bontà e nella propria eccezionale intelligenza, tanto più che sempre, nel profondo dell'anima, gli era sembrato di essere realmente molto buono e molto intelligente. Perfino le persone che prima con lui si erano mostrate cattive e chiaramente ostili, adesso si erano fatte tenere e amorevoli. La principessina maggiore, così scontrosa, con la sua vita troppo lunga e i capelli tesi come quelli di una bambola, dopo i funerali era entrata nella camera di Pierre. Chinando gli occhi e arrossendo in continuazione, gli aveva dichiarato di essere molto dolente degli equivoci che erano sorti fra di loro, e che adesso non si sentiva in diritto di chieder nulla, tranne forse il permesso, dopo la sciagura che l'aveva abbattuta, di restare per qualche settimana ancora nella casa che amava tanto e dove aveva sopportato tanti sacrifici. A questo punto non aveva saputo trattenersi ed era scoppiata a piangere. Commosso dal fatto che quella donna simile a una statua avesse potuto trasformarsi a tal punto, Pierre la prese per mano e le chiese scusa, senza saperne nemmeno lui la ragione. Da quel giorno la principessina aveva cominciato a lavorare per Pierre a una sciarpa a righe e nei suoi confronti mutò completamente.   
   «Fallo per lei, mon cher. Nonostante tutto ha sopportato ogni sorta di cose da parte del defunto,» gli disse il principe Vasilij, dandogli da firmare una certa carta a vantaggio della principessina.   
   Il principe Vasilij aveva deciso che era necessario buttare quell'osso - un assegno di trentamila rubli - alla principessina, per dissuaderla dal diffondere la notizia della funzione che lui aveva avuto nella faccenda del portafoglio a mosaico. Pierre firmò l'assegno, e da quel giorno la

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