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era adesso a giudicare da quella lettera.   
   «E che stile, come descrive bene le cose!» diceva rileggendo la parte della lettera in cui il figlio si diffondeva sugli avvenimenti. «E che animo! Di se stesso non dice niente... niente! Parla d'un certo Denisov, mentre lui è certo il più coraggioso di tutti. Non scrive nulla delle sue sofferenze. Che cuore! Come lo riconosco! E come s'è ricordato di tutti! Non ha dimenticato nessuno. Io l'ho detto sempre, sempre; anche quando era piccolo così, io lo dicevo sempre...»   
   Per più di una settimana furono preparate e scritte le minute, poi vennero copiate in bella le lettere che tutta la casa scriveva a Nikoluška. Sotto la sorveglianza della contessa e a speciale cura del conte furono raccolte le piccole cose necessarie e i denari per l'uniforme e la sistemazione del neo-ufficiale. Anna Michajlovna, che era una donna pratica, si era procurata raccomandazioni anche per la corrispondenza sua e del figlio, e aveva trovato modo di far inoltrare le sue lettere al granduca Konstantin Pavloviè che comandava la Guardia. I Rostov pensavano che Guardia russa all'estero costituisse già un indirizzo sufficientemente chiaro e che se una lettera giungeva al granduca, non c'era ragione perché non arrivasse al reggimento di Pavlograd che doveva trovarsi lì vicino; perciò fu deciso di spedire le lettere e i soldi a Boris; e per mezzo del corriere del granduca, Boris a sua volta doveva recapitare il tutto a Nikoluška. C'erano lettere del vecchio conte, della contessa, di Petja, di Vera, di Nataša, di Sonja; c'erano anche seimila rubli per l'equipaggiamento e svariate altre cose che il conte mandava a suo figlio.   
   

   Capitolo VII   


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