Guardia, tutte quelle persone altolocate che circolavano per le strade in eleganti carrozze cortigiani e militari adorni di pennacchi, nastri e decorazioni, sembravano essere così al di sopra di lui, piccolo ufficiale della Guardia, da non potere e tanto meno ammettere la sua esistenza. Nella residenza del comandante in capo Kutuzov, dove chiese di Bolkonskij, tutti quegli aiutanti di campo e perfino gli attendenti lo guardarono con l'aria di volergli far capire che ufficiali come lui se ne intrufolavano fin troppi ed erano già venuti a noia. Nonostante questo, o piuttosto a causa di questo, il giorno successivo, il quindici, egli tornò a Olmütz ed entrando nell'edificio occupato da Kutuzov, chiese di Bolkonskij. Il principe Andrej c'era, e Boris fu accompagnato in una grande sala che probabilmente una volta tra destinata a feste da ballo ed ora invece era occupata da cinque letti e vari mobili eterogenei: un tavolo, delle seggiole, un clavicembalo. Un aiutante in veste da camera persiana sedeva a un tavolo vicino alla porta e scriveva. Un altro, il rosso e grasso Nesvickij, era sdraiato su un letto con le mani sotto la nuca e rideva in compagnia di un ufficiale che gli stava seduto accanto. Un terzo suonava al clavicembalo un valzer viennese, mentre un quarto, sdraiato, lo accompagnava cantando. Bolkonskij non c'era. Nessuno di quei signori, vedendo Boris, cambiò posizione. Quello che scriveva al quale Boris si era rivolto, si volse infastidito e gli disse che Bolkonskij era di servizio, e che se aveva bisogno di vederlo, doveva entrare dalla porta a sinistra nella stanza d'aspetto. Boris ringraziò e andò nella sala d'aspetto, dove c'erano una decina di ufficiali e di generali.
Nel momento in cui entrò Boris, il principe Andrej, con una contrazione sprezzante della faccia (e quella particolare aria di deferente stanchezza che dice chiaramente: se non fosse mio dovere, non starei a parlare con