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   A tarda notte, quando tutti si furono ritirati, Denisov batté con la sua piccola mano sulle spalle del suo beniamino Rostov.   
   «Siccome in guevva non c'è di chi innamovavsi, ecco che lui s'è innamovato dello zav,» disse.   
   «Denisov, su questo non ci scherzare,» gridò Rostov, «è un sentimento così elevato, così bello, così...»   
   «Ci cvedo, ci cvedo, mio cavo; lo condivido e lo appvovo...»   
   «No, non lo capisci!»   
   E Rostov si alzò e andò a vagare tra i falò, sognando quale felicità sarebbe stata morire, e non per salvare la vita dell'imperatore (questo non osava neppure sognarlo), ma semplicemente morire sotto i suoi occhi. Era veramente innamorato dello zar, della gloria delle armi russe, della speranza del futuro trionfo. E non era il solo a provare questo sentimento, in quelle memorabili giornate che precedettero la battaglia di Austerlitz: i nove decimi degli uomini dell'armata russa in quel momento erano innamorati (sia pure in modo meno entusiastico) del loro zar e della gloria delle armi russe.   
   

   Capitolo XI   

   
   Il giorno dopo l'imperatore si fermò a Wischau. Il medico di corte Villiers fu chiamato varie volte a visitarlo. Al quartier generale e fra le truppe circostanti si diffuse la voce che l'imperatore era ammalato. Non mangiava nulla, e quella notte aveva dormito male, a quanto dicevano le persone del seguito. La causa dell'indisposizione stava nella forte impressione prodotta sull'anima sensibile del sovrano dalla vista dei morti e dei feriti.   

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