Zu diesem Endzwecke ist es noetig... Die erste Kolonne marschirt... die zweite Kolonne marschirt... die dritte Kolonne marschirt... e così via,» leggeva Weirother. I generali sembravano ascoltare di malavoglia le difficili «disposizioni». Il biondo e alto generale Buxhöwden era in piedi, appoggiato con la schiena alla parete e, con lo sguardo fisso sulla candela accesa, pareva non ascoltare e nemmeno volere che si credesse che ascoltava. Proprio di fronte a Weirother, con gli occhi scintillanti e spalancati, fissi su di lui, in una posa guerresca, con le mani posate sulle ginocchia e i gomiti sporti in fuori, stava seduto il paonazzo Miloradoviè con i baffi e le spalle rivolti in su. Taceva ostinatamente, fissando Weirother, e ne distoglieva gli occhi solo quando il capo di stato maggiore austriaco taceva. Allora Miloradoviè volgeva lo sguardo in modo significativo verso gli altri generali. Ma non era possibile interpretare il significato di quello sguardo, e cioè se egli fosse d'accordo o non fosse d'accordo, contento o scontento della disposizione. Più vicino di ogni altro a Weirother sedeva il conte di Langeron e, con un fine sorriso sul suo volto da francese del sud - sorriso che non lo abbandonò per tutta la durata della lettura - guardava le proprie dita sottili che giravano velocemente, facendo perno sugli spigoli, una tabacchiera d'oro con un ritratto. Verso la metà di uno dei periodi più lunghi egli fermò il movimento rotatorio della tabacchiera, sollevò il capo e, con un'espressione di sgradevole ossequiosità agli angoli delle labbra sottili, interruppe Weirother e fece l'atto di dire qualcosa. Ma il generale austriaco aggrottò la fronte adirato, senza nemmeno interrompere la lettura e agitò i gomiti come per dire: «Dopo, dopo mi direte il vostro parere; adesso fatemi il favore di guardare la carta e di ascoltare.» Langeron sollevò gli occhi verso l'alto, come cercando una spiegazione,