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rispondeva a se stesso il principe Andrej: «io non lo so che cosa accadrà poi, non posso e non voglio saperlo; ma se desidero questo, se voglio la gloria, se voglio esser noto agli uomini, se voglio essere amato da loro, non è colpa mia volerlo, volere soltanto questo, vivere soltanto per questo. Sì, soltanto per questo! Non lo confesserò mai; eppure, mio Dio, che cosa posso fare se io non amo che la gloria e l'amore degli uomini. La morte, le ferite, la perdita della famiglia: nulla mi fa paura! E, per quanto dilette mi siano tante persone, mio padre, mia sorella, mia moglie, ossia le persone che mi sono più care, per quanto terribile e innaturale questo possa sembrare, le sacrificherei tutte all'istante per un minuto di gloria, di trionfo sugli uomini, per conquistarmi l'amore di uomini che non conosco e non conoscerò mai; per l'amore, ecco, di questi uomini,» pensava, prestando ascolto al chiacchiericcio nel cortile del palazzotto abitato da Kutuzov. Si udivano le voci degli attendenti che facevano i bagagli; una voce - probabilmente del cocchiere che prendeva in giro il vecchio cuoco di Kutuzov, Tit, che il principe Andrej conosceva, stava dicendo: «Tit, ehi, Tit?»   
   «Che cosa vuoi?» rispondeva il vecchio.   
   «Tit, va' a battere il grano,» diceva il burlone.   
   «Ma vattene un po' al diavolo,» rispondeva una voce soverchiata dalle risate degli attendenti e dei servitori.   
   «Eppure ciò che amo, ciò che conta per me è solo il trionfo su tutti costoro; per me conta solo questa forza misteriosa, questa gloria che aleggia nella nebbia, e procede verso di me!»   
   

   Capitolo XIII   

   

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