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sono sempre e dappertutto i suoi compagni, le stesse file, lo stesso sergente maggiore Ivan Mitrič, lo stesso cane della compagnia, Žučka, gli stessi superiori. Ben di rado il soldato desidera conoscere le latitudini in cui si trova questo suo bastimento; ma il giorno della battaglia, Dio sa come e da dove, nel mondo morale dei soldati risuona una nota severa eguale per tutti, che echeggia l'avvicinarsi di qualcosa di decisivo e di solenne e li spinge a una curiositą che in genere non provano. Nei giorni della battaglia i soldati, eccitati, cercano di uscire dall'ambito degli interessi del loro reggimento, e ascoltano, osservano, domandano avidamente che cosa stia succedendo intorno a loro.   
   La nebbia era diventata cosģ fitta che, sebbene fosse l'alba, non si vedeva nulla a dieci passi di distanza. I cespugli sembravano alberi immensi; i pianori, burroni e scarpate. Dappertutto, da ogni parte, poteva accadere di scontrarsi con il nemico, senza poterlo scorgere a dieci passi di distanza. Ma le colonne marciarono a lungo sempre nella stessa nebbia, scendendo e risalendo alture, costeggiando frutteti e recinti, attraverso luoghi nuovi di cui non riuscivano a comprendere la configurazione, senza imbattersi mai nel nemico. Al contrario: ora davanti, ora alle spalle, da ogni parte i soldati constatavano che altre colonne russe marciavano nella stessa direzione. E ogni soldato provava un senso di sollievo in fondo al cuore, perché sapeva che lą dove lui andava - ossia chissą dove - andavano molti altri, molti altri dei nostri.   
   «Guarda, sono passati anche quelli del reggimento di Kursk,» si diceva nelle file.   
   «Fa spavento, caro mio! Quanta truppa abbiamo radunato, noialtri! Ieri sera stavo a guardare, quando hanno acceso i fuochi: non se ne vedeva la fine. Pareva che ci fosse tutta Mosca!»   

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